miércoles, 22 de abril de 2009

terremoto in Abruzzo. Donare? Pensiamoci...

..non do un euro per il terremoto..
di Giacomo Di Girolamo, redattore del Giornale di Sicilia

Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi
raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la mia
suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza
il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun
numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò
nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle
poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole
bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda.

Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori,
alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi
hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no - stop, le scritte
in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che
questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da
italiano, io possa fare.

Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo
stereotipo dell'italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di
cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei
momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio
che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da
pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull'orlo del pozzo di Alfredino, a vedere
come va a finire, stringendoci l'uno con l'altro. Soffriamo (e offriamo) una
compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.

Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi
coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do
una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono
già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione
civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la
Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano
invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l'economia del nostro
Paese.

E nelle mie tasse c'è previsto anche il pagamento di tribunali che
dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero
farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una
classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma
proprio nulla, che non sia passerella.

C'è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a visitare
i posti terremotati. In un viaggio pagato - come tutti gli altri - da noi
contribuenti.
Ma a fare cosa? Ce n'era proprio bisogno?
Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di
"new town" e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al neologismo:
"new town".
Dove l'ha preso? Dove l'ha letto? Da quanto tempo l'aveva in mente?

Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve
essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori. Ecco come
nasce "new town". E' un brand. Come la gomma del ponte.

Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura Schifani,
nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che "in questo
momento serve l'unità di tutta la politica". Evviva. Ma io non sto con voi,
perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle
della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello
che è successo, perché governate con diverse forme - da generazioni - gli
italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono
per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una
giustizia che non c'è.

Io non lo do, l'euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha servito
lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto Schifani
guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per
compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei lo sentirono
eccome quel terremoto. E diedero un po' dei loro risparmi alle popolazioni
terremotate.
Poi ci fu l'Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico
versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo tutti
come è andata. Dopo l'Irpinia ci fu l'Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo
strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente.

Ma ora basta.

A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre come prima?
Hanno scoperto, dei bravi giornalisti (ecco come spendere bene un euro:
comprando un giornale scritto da bravi giornalisti) che una delle scuole
crollate a L'Aquila in realtà era un albergo, che un tratto di penna di un
funzionario compiacente aveva trasformato in edificio scolastico, nonostante
non ci fossero assolutamente i minimi requisiti di sicurezza per farlo.

Ecco, nella nostra città, Marsala, c'è una scuola, la più popolosa,
l'Istituto
Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta in un edificio che è un albergo
trasformato in scuola. Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio
di cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha speso quasi 7 milioni di euro
d'affitto
fino ad ora, per quella scuola, dove - per dirne una - nella palestra lo
scorso Ottobre è caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo
scirocco! C'è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la dobbiamo
inventare?) il controsoffitto in amianto.

Ecco, in quei milioni di euro c'è, annegato, con gli altri, anche l'euro
della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere nulla, se non
come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.

Stavo per digitarlo, l'sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno
sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul
terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho
capito che già era qualcosa se non chiedevo il rimborso del canone per
quella bestialità che avevano detto.

Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa
succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi.
E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta
e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l'alibi per non parlare d'altro,
ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella
che sta all'opposizione) perché c'è il terremoto. Come l'11 Settembre, il
terremoto e l'Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto.

Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo
volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli
sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei
super manager, accorpando le prossime elezioni europee al referendum. Sono
le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta
sempre più rabbia.

Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il
mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di
italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa
pianto, quando sento dire "in Giappone non sarebbe successo", come se i
giapponesi avessero scoperto una cosa nuova, come se il know - how del Sol
Levante fosse solo un' esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di
laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all'atto
pratico.

E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel
frastuono della televisione non c'è neanche un poeta grande come Pasolini a
dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno
uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia.

Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il
diritto di dire quello che penso.

Come la natura quando muove la terra, d'altronde.

(Giacomo Di Girolamo, redattore del Giornale di Sicilia)

In Italia 2,5 milioni in povertà assoluta

Si trovano in questa condizione 975 mila famiglie, il 4,1% dei nuclei familiari. Il fenomeno è concentrato al Sud

ROMA - Due milioni e mezzo di italiani vivono in povertà assoluta. Sono quelli che l'Istat definisce «poveri fra i poveri». In questa condizione si trovano 975 mila famiglie, il 4,1% dei nuclei familiari del Paese. Nel rapporto sulla povertà assoluta , riferito al 2007, l'Istituto di statistica sottolinea che rispetto al 2005, «la povertà assoluta è rimasta stabile e sostanzialmente immutata». Il fenomeno è concentrato al Sud (5,8%) e meno al Nord (3,5%) e al Centro (2,9%). La povertà assoluta inoltre incide di più sulle famiglie numerose (con un solo figlio minore è del 3,1%, sale al 3,8% e al 10,5% se i figli sono rispettivamente due o più di due), dove vivono anziani (5,4%) e, infine, se il capofamiglia è donna (4,9%).

LA SITUAZIONE PEGGIORA SE IL CAPOFAMIGLIA È ADULTO - La povertà assoluta, sottolinea l'Istat, sta peggiorando nelle famiglie in cui a capo c'è un ultracinquantenne, mentre va migliorando in quelle in cui il capofamiglia è un giovane. Tra le famiglie la cui persona di riferimento ha meno di 65 anni - spiega l'Istituto di statistica - l'incidenza è generalmente inferiore alla media ma, tra il 2005 e il 2007, le famiglie con a capo un adulto tra i 45 e 54 anni mostrano segnali di peggioramento passando dal 2,6% al 3,4%. Al contrario, tra i nuclei dove il capofamiglia ha meno di 34 anni c'è un miglioramento: dal 4,1% al 3%. Ciò è dovuto, per l'Istat, al fatto che sempre più spesso solo i giovani che hanno raggiunto una piena indipendenza economica lasciano la famiglia di origine. Il dato ripropone la questione dei working poor, ossia di coloro che nonostante abbiano un lavoro vivono un forte disagio economico; una condizione che spesso si lega a bassi profili professionali e d'istruzione. Il rapporto dell'Istat afferma poi che le famiglie con persona di riferimento non occupata mostrano un valore di incidenza pari al 5,6%; in particolare, si passa dal 4,8% tra le famiglie dei ritirati dal lavoro, all'8,1% se si tratta di una persona in altra condizione professionale (studente, casalinga, inabile al lavoro) e si raggiunge il valore più alto, il 10%, se la persona di riferimento è in cerca di occupazione.

NUOVA METODOLOGIA - Con il rapporto odierno, l'Istat introduce una nuova metodologia: stima la soglia della povertà assoluta tenendo conto della spesa mensile minima necessaria per acquisire un determinato paniere di beni e servizi considerati essenziali per vivere. Questa soglia cambia a seconda dell'età, della composizione della famiglia, del luogo di residenza. Per una famiglia, ad esempio, formata da una sola persona, fra i 18 e 59 anni, la soglia è di 724.29 euro se vive in un'area metropolitana del nord, mentre se vive in un piccolo comune è 650.04 euro. Se la stessa persona vive in un grande comune del mezzogiorno la soglia scende a 520.18 euro. Altro esempio. Per una famiglia di tre componenti con età sotto i 59 anni, la soglia di povertà assoluta è stabilita in 1.158,71 euro se vive in un'area metropolitana nelle regioni centrali, mentre è a 966,20 euro se risiede nelle regioni meridionali. L'intensità della povertà, ossia la percentuale di quanto la spesa mensile delle famiglie assolutamente povere si colloca al di sotto della soglia di povertà, risulta pari al 16,3% e raggiunge il 18,2% tra le famiglie residenti al meridione.